Affitto con riscatto:
perché oggi non se ne parla più come qualche anno fa
Ci sono formule immobiliari che fanno molto rumore per qualche anno, poi spariscono lentamente. L’affitto con riscatto è una di queste.
Qualche tempo fa sembrava la soluzione ideale per chi voleva comprare casa ma non poteva farlo subito; oggi, invece, se ne parla poco e, quando se ne parla, lo si fa con molta più cautela.
Il motivo non è una moda passata, ma qualcosa di più semplice e concreto: il mercato ha fatto esperienza.
Quando l’affitto con riscatto sembrava la soluzione giusta
Negli anni successivi alla crisi finanziaria il contesto era piuttosto chiaro: mutui difficili da ottenere, mercato immobiliare lento, molte case ferme sul mercato e molte persone motivate all’acquisto ma senza accesso al credito.
In quel periodo l’affitto con riscatto appariva come un buon compromesso: si entrava in casa subito, si pagava un canone e si rimandava l’acquisto a tempi migliori. Sulla carta funzionava. Nella realtà, molto meno.
Il problema non era la formula, ma le aspettative
Il vero problema non è mai stata la struttura dell’affitto con riscatto, ma il modo in cui è stato raccontato e percepito.
Molti acquirenti hanno pensato: “Tra qualche anno avrò sicuramente il mutuo”. Molti venditori, dall’altra parte, hanno pensato: “Così vendo senza dover abbassare il prezzo”. Nessuna di queste due convinzioni, però, era garantita. E quando una formula immobiliare si basa su promesse implicite, prima o poi presenta il conto.
Dal punto di vista del venditore: rischio spostato nel tempo
Per molti proprietari l’affitto con riscatto si è rivelato più impegnativo di quanto inizialmente immaginato. L’immobile resta vincolato per anni, il prezzo viene deciso oggi su un mercato che può cambiare e, se l’accordo non arriva al rogito, tornare indietro non è sempre semplice.
Gestire una situazione a metà tra locazione e vendita significa convivere con incertezze che, nel tempo, pesano. In diversi casi, quando l’operazione non va a buon fine e si rientra in possesso dell’immobile, emergono anche costi rilevanti di ripristino, dovuti a usura o negligenza rispetto allo stato originario della casa. Non è un caso se molti venditori che hanno provato questa formula hanno poi deciso di non ripeterla.
Dal punto di vista dell’acquirente: rimandare il problema
Quando l’affitto con riscatto non si conclude con l’acquisto, l’acquirente non perde solo tempo. In molti casi una parte delle somme versate, spesso indicate come acconto prezzo o caparra, non viene recuperata.
Dopo alcuni anni ci si può così ritrovare senza la casa e con meno risorse di quante se ne avevano all’inizio. Non si tratta di una penalizzazione “ingiusta”, ma della conseguenza di un impegno assunto confidando che il percorso sarebbe arrivato al rogito. L’idea di “prepararsi al mutuo” funziona solo se il percorso è reale e misurabile; altrimenti diventa un’illusione costosa.
Perché oggi se ne parla meno
Nel frattempo il mercato è cambiato. Sono cambiate le politiche bancarie, gli strumenti di accesso al credito, il comportamento degli acquirenti e la velocità di alcune aree del mercato. Quando una formula nasce per risolvere una fase critica e quella fase si attenua, perde naturalmente centralità.
Ha ancora senso oggi?
Oggi l’affitto con riscatto può avere senso, ma solo in casi molto specifici. Funziona quando l’acquirente è già vicino alla cosiddetta “bancabilità”, cioè quando la sua situazione reddituale sta per diventare stabile e verificabile agli occhi della banca.
Un esempio tipico è il passaggio da un contratto a tempo determinato a uno a tempo indeterminato. Le banche considerano il reddito consolidato solo dopo il superamento del periodo di prova, che di solito dura sei mesi.
In situazioni come questa, l’affitto con riscatto può coprire un intervallo di tempo limitato e definito, nell’ordine di alcuni mesi, non di anni. A condizione che il venditore sia consapevole dei limiti dello strumento e che il contratto sia costruito con attenzione tecnica.
Una riflessione finale
Il fatto che oggi si parli meno di affitto con riscatto non significa che sia uno strumento “sbagliato”. Significa che non è la soluzione universale che qualcuno aveva immaginato. Nel mercato immobiliare le scorciatoie funzionano raramente. Le formule passano, l’esperienza resta.
Considerazione dell’autore
Nel corso della mia attività professionale ho vissuto in prima persona il periodo di massimo utilizzo dell’affitto con riscatto, quando questa formula – spesso chiamata rent to buy – sembrava la risposta più efficace a un mercato immobiliare in forte difficoltà.
In quegli anni, accanto all’affitto con riscatto “classico”, si sono diffuse molte soluzioni simili: preliminari con integrazioni di caparra, immissione in possesso anticipata, preliminari trascritti con effetti diluiti nel tempo. Formule diverse, ma tutte nate dalla stessa esigenza: tenere in piedi operazioni che altrimenti si sarebbero fermate.
Trattando spesso immobili di nuova costruzione, ho visto come queste soluzioni venissero accettate anche dai costruttori, allora fortemente esposti a causa di finanziamenti in corso e di un mercato fermo. La difficoltà degli acquirenti a ottenere mutui adeguati e la necessità dei venditori di far fronte agli impegni finanziari hanno fatto dell’affitto con riscatto una sorta di soluzione tampone, più utile a gestire il tempo che a risolvere il problema alla radice.
Oggi quello scenario è cambiato e, nella maggior parte dei casi, questa formula non è più necessaria né conveniente. Questo non significa però che abbia perso valore in assoluto. L’affitto con riscatto resta uno strumento valido quando è necessario attendere un tempo determinato prima di arrivare all’atto definitivo di vendita, non sempre per ragioni economiche ma, talvolta, per motivi esclusivamente giuridici.
La conclusione è semplice: non è una scorciatoia e non è una soluzione universale. È uno strumento che funziona solo se contestualizzato correttamente, quando risponde a un’esigenza reale e ben definita.
Massimo Ingelman – agente immobiliare
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